Ho letto tutti i romanzi di Zafón e li ho graditi, soprattutto quelli successivi al periodo dei libri per ragazzi. Ho cominciato con L’ombra del vento e ho finito con Il labirinto degli spiriti, passando per quelli meno interessanti come Marina, Il palazzo della mezzanotte, ecc. ecc..
Qui non farò una recensione ai precedenti e mi limiterò a parlare soltanto di quest’ultimo.
ll romanzo comincia bene. O meglio: ci illude che stia cominciando bene. Infatti, dopo poche pagine relative a Firmin e a Daniel, si abbandonano i vecchi personaggi e si passa ai nuovi. Si lascia l’affascinante Barcellona di Zafón e ci si sposta a Madrid per seguire le tantissime pagine che riguardano Alicia. Soltanto alla fine tutti i personaggi si concentrano nello stesso racconto. E, infatti, soltanto allora il romanzo riacquista il fascino che lo scrittore sa dare alle sue storie.
La parte di Alicia e Vargas non è brutta. È scritta bene, perché Zafón sa scrivere bene. Ma in quelle pagine Zafón non è il nostro Zafón.
Una grande pecca di questo romanzo è l’aver dotato ogni personaggio della storia dello stesso senso dell’umorismo. Errore grave per il mio scrittore preferito.
[Recensione di Salvatore Paci]
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